Benessere psicofisico con lo yoga: scopri come e perché parte 2
Nella prima parte di questo articolo, abbiamo iniziato a capire perché lo yoga ci aiuti a ritrovare benessere psicofisico, scardinando un po’ le nostre certezze sui nostri modi di fare e pensare.
Sì, possiamo dare, almeno in parte, la “colpa” ai nostri genitori, che sollievo. Insomma. Ci fa sentire davvero meglio sapere che le nostre nevrosi derivano dai traumi, piccoli o grandi che siano, che tutti, chi più chi meno, abbiamo dovuto patire? Se i percorsi neurali ci portano comunque ad agire nella stessa direzione, forse non è poi un sollievo così grande.
“Ma perché dovrei volermi liberare dei miei condizionamenti?” Ma non so, perché forse si può vivere meglio di così? Con meno stress, meno rabbia, meno frustrazione? “Ma la rabbia mi serve per scaricare, dopo che mi sfogo sto molto meglio”.
La rabbia è un modo di reagire che, per carità, a volte ci sta. Non voglio diventare santa e non sto cercando di convincere nessuno a diventarlo.
Un santo è un peccatore che non smette mai di provarci, che non si arrende mai.
Ma come tutte le reazioni, anche la rabbia può essere osservata e se la si può osservare, vuol dire che qualcuno, qualcosa può osservarla, no?
Ricordo che il mio adorato psicologo EV mi aveva fatto un disegno di un palco teatrale in cui c’erano i personaggi, le mie reazioni credo. C’era poi un altro personaggio vicino al sipario tirato indietro. Mi diceva sempre “Valentina, si metta lì, vicino al sipario, ad osservare; poi capiremo insieme cosa sta succedendo sulla scena”.
Anni dopo capii. Capii perché presi consapevolezza di quanto questo esercizio non fosse un modo per dissociarsi, ma per dare voce a una parte di noi che non è solo quella razionale. Non è la mente che osserva. La mente agisce insieme al corpo perché è fatta anch’essa di materia (sono comunque impulsi elettrici che la fanno funzionare). La filosofia induista ha questa grande differenza dalla psicologia occidentale: fa della mente l’oggetto e non il soggetto. Percepire questo aiuta oltremodo nel raggiungimento del benessere psicofisico perché ci dis-identifica da quella parte di noi che ce lo procura!
Tutti i suoi aspetti che noi occidentali siamo così bravi ad indagare da un punto di vista neurobiologico, scientifico e razionale, non possono però liberarci dalla sofferenza (come è evidente), e nemmeno permetterci di vivere una vita del tutto piena, perché tralasciano il lato spirituale della vita ,senza il quale la vita senso non ha.
Perché tutti siamo portati a dover combattere ogni giorno, più volte al giorno, con ciò che riteniamo essere i nostri lati bui, le nostre ombre, come Arjuna che dovrebbe cominciare a scagliare frecce ed invece è lì, che gli tremano le gambe e la bocca gli si secca e preferirebbe morire lui, lì, disarmato e senza resistenza.
Quante volte lo facciamo pure noi. Quante volte cediamo, da un lato ai nostri impulsi che ci trascinano giù, e dall’altro alle nostre voci che ci impediscono di credere in noi. E non è che dobbiamo poi sentirci in colpa se mangiamo un biscotto in più, perché se non lo mangiamo e continuiamo a pensarci è ancora peggio!! E tutto ciò ci allontana dal poter raggiungere il nostro benessere psicofisico.
L’azione non agìta continua ad agire dentro di noi: se vogliamo davvero non mangiare più un pacco di biscotti la sera davanti alla tv, cerchiamo di capire che cosa ci sta dietro a questa smania. Possiamo fare lo stesso, con tutto ciò che facciamo e che poi ci fa sentire in colpa. Ovviamente non sto dicendo di lasciarci andare senza sensi di colpa a tutto ciò che ci piace e che ci fa male (che poi tante volte non lo facciamo già??), ma che se ci mangiamo il cioccolato almeno godiamocelo senza rimuginarci su, se lo facciamo o se non lo facciamo!
E se si sgarra, ricominciamo da zero, senza pensare a ciò che si è fatto prima. Cambiando i componenti che stanno alla base delle nostre azioni, le nostre azioni cambieranno in automatico senza bisogno di sforzi. Provare per credere!
Oppure continuiamo ad accasciarci a terra, a posare il nostro arco e a farci opprimere dai nostri dolori.
E rimaniamo così, disarmati e senza resistenza verso i nostri condizionamenti psico-neurobiologici, come Arjuna alla fine del primo capitolo uno della Bhagavad Gita: rimaniamo così, fissati nel capitolo uno della nostra vita.