Dove andiamo quando meditiamo?
Perché meditiamo? È davvero necessario? Non ci sono altre vie per liberarci da ansia e stress e trovare la serenità? Cosa succede quando si medita? Dove andiamo quando meditiamo?
Potrà sembrare esoterico parlare di spiritualità in un mondo come il nostro che ha fatto della scienza la sua nuova religione, ma è di questo che si tratta! A nostro parere spiritualità è “solo” un nome dato a questo stato di coscienza che si raggiunge, anche, quando meditiamo. È un livello di coscienza dal quale sorge un altro concetto di “io” che non è più basato su quanto appreso tramite i sensi perché in questo stato si è come “spenti alla percezione”.
È lo stato in cui emerge un io capace di osservare quanto appreso tramite i sensi, per trascenderlo. Ed è allora che si viene a contatto con quel testimone presente in ognuno di noi che, facendo uno step ulteriore, si fonde con quello di tutti gli altri in un unico grande mare.
Quando meditiamo senza avere in mente uno scopo materiale, contattiamo uno stato di profonda connessione con qualcosa di più grande di noi e nello stesso tempo ci si sente noi stessi come raramente succede nella vita di tutti i giorni. Quello stato che si tocca anche quando si è totalmente presenti al momento presente. Lo stato di presenza mentale che si può allenare per non perdersi nel passato e nel futuro.
La presenza mentale
È una sorta di stato meditativo ad occhi aperti in cui si continua, e continua, a riportare l’attenzione sul momento presente: le sensazioni fisiche, ciò che si osserva, ciò che si fa. Questa capacità viene sicuramente aiutata e amplificata dalla meditazione vera e propria. Forse è più difficile da mettere in pratica senza meditare perché richiede uno sforzo non circoscritto e “protetto” dal momento della meditazione (in silenzio, occhi chiusi, fermi). Certo, ce ne rendiamo conto, detta così tutto questo può essere visto come una tortura!!! Vi assicuriamo che però i risultati del gioco non solo valgono la candela, ma molto di più.
Sì, è vero, per meditare e per applicare la presenza mentale in tutto ciò che si fa, occorre tenacia e costanza. Nel meditare, per riportare di continuo la mente a non disperdersi (a seconda del tipo di meditazione ci sono strumenti diversi per non farglielo fare); nella presenza mentale per poter, di continuo, riportare l’attenzione al qui e ora in tutto ciò che si sta facendo.
Quindi se ci si chiede se meditare è davvero necessario, a parer nostro la risposta è sì!
Perché? Perché meditando andiamo a creare quello spazio sia mentale che fisico per accogliere anche la nostra capacità di osservarci durante la giornata. E questo è utilissimo soprattutto se non siamo abituati a farlo (cosa che sappiamo essere così, dato che nessuno nel mondo occidentale ci insegna queste cose).
Cos’è la meditazione
La meditazione si è ormai, e per fortuna, diffusa anche nel mondo occidentale anche se non per gli scopi spirituali per i quali è nata.
Viene praticata “come esercizio mentale, strumento pratico per diminuire lo stress, aumentare la lucidità e il benessere generale”.
La guida allo yoga della Harvard Medical School
Pema Chodron la definisce “un’apertura compassionevole, la capacità di stare con se stessi e ciò che accade in qualunque situazione”; Jon Kabat-Zinn, fondatore della famigerata mindfulness, “l’auto-regolazione intenzionale dell’attenzione momento per momento”.
La meditazione e le tecniche di presenza mentale ci permettono di guardare all’interno di noi e di contattare un altro livello di noi stessi. Questa è la base per capire il linguaggio di quella parte di noi che, volenti o nolenti, ci guida: l’inconscio.
Da dove viene
La meditazione è una tecnica antichissima introdotta dall’induismo vedico, che la descrive come il sacrificio per eccellenza. Sacrificare la mente nel fuoco della meditazione, garantisce ritam, l’ordine cosmico. Il termine deriva da Dhyana, vocabolo apparso per la prima volta, pare, nelle Upanishad e il cui significato è contemplazione: si riferisce allo stato che precede il Samadhi, la fusione con il principio vitale da cui tutto e tutti deriviamo.
La parte finale della filosofia yogica culmina nei tre step del raja yoga: Dharana (concentrazione, la fase in cui si osserva, concentrati, quello che c’è ritornando, di continuo, all’osservazione); Dhyana (contemplazione senza sforzo da parte di colui che osserva, una sorta di librarsi in aria, ma percependosi ancora nella propria essenza); Samadhi (fusione di ciò che si osserva con noi stessi, unione della propria essenza con l’essenza del tutto, percezione della non separazione tra la nostra essenza e quella degli altri e della vita stessa, che tutte le essenze comprende e di cui è fatta).
Senza entrare nei dettagli della storia della meditazione, basti qui sapere che aldilà delle diversi tipologie e delle diverse tecniche, hanno tutte lo stesso fine: quello di calmare la mente per poi far sì che ci si possa sciogliere nel divino.
Mistica? Magia? No, realtà. Come dice Einstein
Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica